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Bonus edilizi, truffa aggravata i crediti di imposta per lavori mai fatti


bonus edilizi

Il riconoscimento del credito di imposta per lavori mai eseguiti e documentati da false fatture integra il grave reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e non l’indebita percezione delle medesime erogazioni. La truffa aggravata si perfeziona con la semplice cessione del credito senza la necessità, come sostenuto in passato dalla stessa Cassazione, della riscossione o della compensazione del credito. A fornire queste interpretazioni è la Corte di cassazione, con la sentenza nr. 40015. A seguito della conferma, del Tribunale del riesame, degli arresti domiciliari nei confronti di alcune persone gravemente indiziate del delitto di truffa aggravata (articolo 640 bis del Cp) ai danni dello Stato per l’ottenimento di bonus edilizi per lavori mai eseguiti, veniva proposto ricorso per Cassazione. Si lamentava che i fatti illeciti dovessero al più rientrare nella meno grave fattispecie di indebita percezione di erogazioni pubbliche (articolo 316 ter del Codice penale) e non nella truffa aggravata. Ciò, in quanto il regime su bonus edilizi vigente al tempo degli illeciti, prevedeva il riconoscimento del credito in modo automatico su presentazione dell'istanza del privato. Il soggetto pubblico era chiamato solo a prendere atto della formale dichiarazione dell'interessato senza la previsione di alcun controllo a monte Va ricordato che mentre l’articolo 640 bis del Codice penale prevede la reclusione da due a sette anni per chi con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno se il fatto concerne contributi, sovvenzioni o altre erogazioni comunque denominate da parte dello Stato o di altri enti pubblici, l’articolo 316 ter del Codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni l’utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere per conseguire le medesime erogazioni/contributi. La differenza tra le due fattispecie, consiste nella condotta preordinata, fraudolenta e attiva nella truffa a fronte del “silenzio antidoveroso” che invece caratterizza il meno grave reato di cui all’articolo 316 ter . I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso rilevando che il riconoscimento del credito attraverso false fatture attestanti opere mai eseguite integra certamente la truffa aggravata in quanto tale riconoscimento ha comportato l’induzione in errore dell’ente pubblico. Per il perfezionamento dell'illecito in presenza di crediti per lavori inesistenti e quindi della truffa, non è necessario che l'ultimo cessionario abbia compensato le somme, ma basta anche la sola prima cessione che ha comportato il pagamento (nella specie di Poste spa) di somme che non erano dovute. Sul punto la sentenza si discosta dal precedente orientamento di legittimità (sentenza 23402/2024) in base al quale la truffa si consumerebbe solo con la riscossione o la compensazione del credito da parte di terzi, in quanto solo in quel momento, e non prima, si consegue l'ingiusto profitto.


Fonte:  Il Sole 24 Ore

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