La dichiarazione compilata nel frontespizio e con i quadri interni privi di indicazione di cifre non può essere considerata omessa. Ne consegue che il contribuente potrà sempre provvedere all’integrazione, anche secondo le ordinarie modalità del ravvedimento operoso. La precisazione, di grande interesse per gli operatori, è contenuta nell’ordinanza n. 21472, depositata ieri della Corte di Cassazione. La vicenda portata all'esame della Cassazione riguardava un contribuente che aveva presentato una dichiarazione Modello Unico contenente solo la compilazione del frontespizio, mentre i quadri interni non evidenziavano l’esposizione di alcun importo. L’Ufficio aveva contestato l'omissione della dichiarazione, provvedendo ad emettere un accertamento d'ufficio. Il contribuente da parte sua aveva eccepito che, in realtà, la dichiarazione avrebbe dovuto ritenersi incompleta, con l'effetto che l'accertamento dell'Ufficio risultava emesso oltre i termini decadenziali di legge. L’Ufficio richiamava, a suo favore, il precedente in termini rappresentato dalla sentenza n. 10759 del 2006 della Cassazione che, nell'affrontare il caso del modello 770 munito solo di frontespizio e senza compilazione dei quadri interni, aveva considerato come omessa la dichiarazione. La Suprema Corte ha al riguardo osservato come, rispetto al suddetto precedente, debba registrarsi una significativa innovazione nelle procedure telematiche di trasmissione delle dichiarazioni. Nel mutato contesto “tecnologico”, infatti, i programmi ministeriali prevedono che, in caso di gravi mancanze nei modelli elaborati dai contribuenti, si verifichino degli “errori bloccanti” che impediscono per l’appunto l’invio della denuncia tributaria. Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate non aveva dimostrato che si fossero verificate tali fattispecie, di tal che la dichiarazione in questione, allo stato degli atti processuali, doveva ritenersi ritualmente trasmessa all’Amministrazione finanziaria. Stando così le cose, il modello di denuncia in contestazione doveva considerarsi come una dichiarazione in bianco, cioè con cifre pari a zero, ma non omessa. Vale la pena segnalare che, nella specie, si trattava di un operatore economico soggetto ad Iva, in quanto tale, obbligato comunque alla presentazione della denuncia. Come conseguenza ulteriore, la Corte ha rilevato che la stessa ben avrebbe potuto essere integrata secondo le modalità ordinarie. Il riferimento implicito è, tra l’altro, all’istituto del ravvedimento, di cui all’articolo 13, del Dlgs 472/1997, che oggi consente di regolarizzare le infedeltà dichiarative senza limiti di tempo, purché prima della ricezione dell’atto di accertamento. La pronuncia della Cassazione fa risaltare ancora di più l’anti storicità del divieto di ravvedere la dichiarazione omessa oltre i 90 giorni dalla scadenza. Non si vede infatti quale ragionevolezza vi sia nel consentire l’integrazione, anche a distanza di anni, di una dichiarazione “in bianco” e di punire invece come omissione la dichiarazione trasmessa oltre i 90 giorni, magari con avvenuto pagamento delle imposte dovute. L’ordinamento sanzionatorio dovrebbe mitigare il trattamento punitivo delle mere dimenticanze del contribuente, ove regolarizzate entro tempi ragionevoli, riservando a esse sanzioni adeguatamente proporzionate. Nel frattempo, non rimane che far tesoro degli insegnamenti della Cassazione e, ove sussistano dubbi sui dati da dichiarare, valutare la trasmissione nei termini di modelli privi dell’esposizione di cifre.
Fonte: Il Sole 24 Ore
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